Il WWF di Pistoia da anni si occupa delle contraddizioni ambientali (spesso gravi) legate all’agricoltura tradizionale e al vivaismo, settore economicamente rilevante nella nostra provincia.
I nostri principali successi sono stati:
- Aver chiesto ed ottenuto la costituzione (purtroppo cessata nel 2001) dell’Osservatorio sul Vivaismo del Comune di Pistoia;
- Aver contribuito alla realizzazione dello Sportello Biologico del Comune di Quarrata dove aziende del settore possono informarsi sulle strategie di lotta biologica;
- Aver controllato e sanzionato – con il nostro nucleo di Guardie Ecologiche – abusi e reati ambientali anche nel campo dell’agricoltura tradizional
Quello che segue è invece il nostro vademecum per un vivaismo ed un’agricoltura realmente sostenibili.
Il notevole incremento dell’attività vivaistica e soprattutto della “vasetteria”, rappresenta un problema per la Provincia di Pistoia attese le conseguenze che possono derivare alle acque superficiali, al consumo del suolo vegetale ed alla salute pubblica a causa del massiccio utilizzo di diserbanti, dissecanti e geodinfestanti.
Da sempre, troppo poco si è discusso sulla questione sia perchè il vivaismo rappresenta la fonte di reddito principale dell’area pistoiese, sia perchè mancano o non sono integralmente divulgati dati tecnici e scientifici che permettano di inquadrare il fenomeno sotto tutti i possibili punti di vista.
Le esigenze delle aziende vivaistiche, nel corso degli ultimi anni, sono profondamente cambiate e la necessità di superfici coperte da serre, piazzali di carico, vialetti asfaltati, porzioni di terreno adibite a vasetteria, le fa sempre più somigliare a vere e proprie imprese industriali.
Inoltre il notevole aumento della “vasetteria” fa crescere in maniera esponenziale il fabbisogno idrico, con la proliferazione di pozzi privati e laghetti artificiali, con conseguente abbassamento delle falde idriche. Ciò può provocare l’infiltrazione delle acque di falda più superficiali – che potrebbero essere inquinate da fitofarmaci – in quelle più profonde utilizzate anche dagli acquedotti comunali per uso idropotabile.
Appare evidente che tutto quanto sopra esposto innesca una serie di fenomeni negativi che si possono così riassumere:
1) impermeabilizzazione del suolo con conseguente modifica dell’equilibrio idrogeologico;
2) proliferazione di canali drenanti rivestiti di teli che diventano veri e propri ruscelli;
3) modifica delle condizioni fisico-chimiche dei terreni a causa delle coperture dei teli e del massiccio utilizzo di sostanze chimiche;
4) rischio di insorgenza nella comunità locali di patologie acute e croniche derivanti da esposizione a prodotti fitosanitari (come più volte evidenziato dalla rivista “Le Scienze”).
E’ indubbio, pertanto, che nel quadro di una corretta politica di tutela sociale, sia necessaria una chiara conoscenza delle relazioni fra attività antropiche e difesa della salute e dell’ambiente.
Quindi, stante la necessità di avere precisi dati di riferimento e non delle semplici percezioni, assume assoluta priorità nell’immediato:
1) dare il via ad un progetto di indagine nelle aree adibite a vivaio e “vasetteria” che conduca alla conoscenza della vulnerabilità della falda idrica e del suolo e ad eventuali riflessi sulla salute pubblica rispetto alle sostanze chimiche utilizzate;
2) l’emanazione a livello di comune, provincia e regione, di norme cogenti che disciplinino l’attività vivaistica, atteso che allo stato queste ultime sono praticamente inconsistenti.
Relativamente al primo punto, come Associazione, proponiamo la costituzione di un “Osservatorio Provinciale sul Vivaismo” di cui facciano parte tecnici di Comuni, Enti e Associazioni con l’obiettivo di:
a) accertare oggettivamente la qualità di acqua e suolo ed eventuali rischi di inquinamento in relazione ai prodotti chimici usati in agricoltura;
b) definire l’entità della risorsa acqua di sottosuolo e della sua utilizzazione per i diversi usi (idropotabile, agricolo, industriale);
c) verificare la fattibilità di soluzioni tecniche ed operative per interventi atti a garantire lo sviluppo sostenibile, a partire da politiche per il riuso della risorsa acqua, per la tutela del suolo e la riconversione graduale al “biologico”, l’inibizione dell’attività vivaistica nelle aree pedecollinari superiori a 200 metri s.l.m., ed a distanza inferiore a 50 metri dagli alvei di fiumi e torrenti di pianura e collina;
d) indagare, attraverso il prelievo di campioni di acqua e di terreno da sperimentare con colture cellulari, al fine di valutare gli effetti di tossicità cronica dei presidi chimici utlizzati nell’attività vivaistica. Il lavoro potrebbe essere effettuato dal laboratorio di Biologia dell’Ospedale di Pistoia in collaborazione con la Facoltà di Biologia dell’Università di Firenze;
e) formulare proposte per “minimizzare” fino ad annullare l’impatto sull’ambiente e sulla salute pubblica del vivaismo e delle attività agricole, valorizzandone comunque le potenzialità;
f) monitorare costantemente l’attività vivaistica ed agricola in rapporto con l’ambiente ed il territorio.
Relativamente all’aspetto normativo, atteso che come sopra detto, il “vivaismo” può essere tranquillamente considerato un’attività industriale, occorre che tutti i comuni, la Provincia e la Regione integrino le proprie norme, la dove emanate, o si dotino di Regolamenti e disposizioni che prevedano prescrizioni minimali quali:
a) comunicazione preventiva, al dipartimento di Prevenzione dell’Azienda USL di competenza, da parte di coloro che utilizzano prodotti fitosanitari, con indicazione della durata del trattamento (arco temporale non superiore ad 1 mese);
b) al fine della tutela della risorsa idrica, i trattamenti devono essere consentiti a non meno di 50 metri dalle sponde dei laghi, delle acque superficiali, dei pozzi per uso non potabile e delle fosse campestri di larghezza superiore ad 1 metro;
c) al fine del rispetto delle distanze minime le aree interessate dai trattamenti devono trovarsi a non meno di 100 metri dalle abitazioni, aie, cortili, ricoveri per animali e dalle strade di pubblico passaggio e dai Centri Abitati così definiti ai sensi del Codice della Strada;
d) l’impiego di presidi fitosanitari deve essere vietato nelle aree collinari e di montagna per proteggere le sorgenti d’acqua, nei vigneti e negli uliveti, nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico, idrogeologico e nelle aree protette o a protezione speciale. In quest’ultima ipotesi i trattamenti devono essere proibiti anche in una fascia di rispetto di 100 metri;
e) le sanzioni previste per gli illeciti devono essere severissime; le recidive dovrebbero gradualmente portare al ritiro del “patentino” per X anni. La vigilanza sul territorio deve essere naturalmente continua ed accurata.